Claudia Sheinbaum, una scienziata ambientale già sindaco di Città del Messico che ha condotto ricerche in California, è la prima presidente donna del paese del tequila. Già questo rende storica la votazione dell’altroieri, dove la delfina del presidente uscente Andrés Manuel López, ha stracciato la candidata dell’opposizione, Xóchitl Gálvez, con una differenza di oltre 15 milioni di voti, più del 30%.

Nipote di nonni ebrei rifugiatisi in Messico dall’est europeo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale per sfuggire alle persecuzioni razziali, si definisce «una figlia del 68» di cui rivendica l’eredità culturale e le lotte sociali ma, soprattutto, vuole «costruire una cultura diversa, in cui donne e uomini siano uguali». In un paese machista come il Messico una mezza rivoluzione. «Il semplice fatto che due donne si siano contese la presidenza messicana potrebbe ispirare milioni di donne a superare le barriere in un paese dove la violenza contro di loro è diffusa», ha spiegato Luz Estrada, capo dell’Osservatorio nazionale dei cittadini sul femminicidio aggiungendo che «è importante avere riferimenti femminili in un paese dove gli uomini hanno sempre governato». La speranza è che Claudia ci riesca per davvero visto che oggi la sola certezza è che 3.800 donne sono state uccise in Messico lo scorso anno, tre volte di più rispetto al 2007.

Proveniente dalla borghesia intellettuale di Città del Messico, Claudia ha promesso di continuare le politiche del presidente uscente populista López Obrador, AMLO come lo chiamano tutti in Messico, a cui lei deve tutto e che non si è potuto ricandidare ad un secondo mandato perché vietato dalla Costituzione.

Una Carta Magna che, se saranno confermati i dati al momento della nostra chiusura, potrà essere però cambiata. Con quasi il 100% dei voti scrutinati, infatti, la coalizione di governo Sigamos Haciendo Historia, che riunisce il partito di Claudia e AMLO, MORENA, quello dei lavoratori (il PT) e quello dei Verdi (PVEM) ha la maggioranza per farlo.

Claudia vuole continuare le riforme della «Quarta Trasformazione» iniziata da López Obrador con l’obiettivo di centralizzare di più il potere nelle mani dell’esecutivo. Tra le proposte di modifica costituzionale, eliminare la Commissione antitrust nazionale e fare eleggere giudici e magistrati dal popolo. Ma, soprattutto, eliminare l’autonomia dell’Istituto elettorale nazionale che supervisiona la registrazione dei votanti e le elezioni in Messico. Il rischio è quello di una minore divisione tra i poteri dello stato, una costante per l’America latina. Staremo a vedere. Di certo, il trionfo di Claudia è stata anche la consacrazione del presidente uscente, che ha mantenuto tassi di approvazione superiori al 60% durante tutto il suo mandato, iniziato nel 2018. Non ha inciso invece la fallimentare politica degli «abbracci e non dei proiettili» di AMLO, che chiuderà i suoi sei anni a dicembre con quasi 200mila omicidi e migliaia di desaparecidos.

Nonostante lo strapotere crescente dei narcos che controllano oramai interi territori del paese, ha aiutato molto Claudia anche un’economia in forte crescita, il peso messicano forte, una bassissima disoccupazione, una notevole crescita salariale e benefici sociali mai erogati in Messico.

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