I messicani hanno scelto: Claudia Sheinbaum, candidata del partito populista di sinistra Morena, sarà la prima presidente donna del paese e del Nord America. Nipote di immigrati ebrei provenienti dalla Lituania e dalla Bulgaria e docente di ingegneria nucleare, Sheinbaum è una politica esperta, avendo già servito come sindaco di Città del Messico: eredita il progetto del suo mentore e leader uscente, Andrés Manuel López Obrador, la cui popolarità tra le fasce più disagiate della popolazione ha contribuito a guidarla al trionfo. Con quasi il 60% delle preferenze, infatti, Sheinbaum ha ottenuto una vittoria schiacciante che riflette la crescita del Movimento di rigenerazione nazionale (abbreviato in Morena) a cui attualmente appartengono circa due terzi dei 32 governatori del paese. Inoltre – stando ai conteggi – la coalizione di governo Sigamos Haciendo Historia(che riunisce Morena, verdi e Partito del lavoro) è sulla buona strada per ottenere la maggioranza di due terzi in entrambe le camere del Congresso, il che le consentirebbe di approvare le riforme costituzionali senza il sostegno dell’opposizione. L’imprenditrice di origine indigena e senatrice dello stato di Hidalgo candidata dell’opposizione Xóchitl Gálvez ha ammesso la sconfitta. Si è intestata circa il 28% delle preferenze, seguita al terzo posto, con grande distacco, da Jorge Álvarez Máynez, il candidato del centrista Movimiento Ciudadano, con il 10%. “Per la prima volta in 200 anni della repubblica diventerò la prima donna presidente del Messico” ha detto Sheinbaum nel discorso della vittoria: “Immaginiamo un Messico plurale, diversificato e democratico. Il nostro dovere è e sarà sempre quello di prenderci cura di ogni messicano, senza distinzioni”. 

Una donna contro l’impunità?

Nelle elezioni più grandi della storia messicana, a parte la presidenza, erano in palio più di 20mila tra seggi parlamentari nazionali e locali, nove incarichi da governatore e di amministratori di vario livello. Il fatto che si siano tenute senza incidenti maggiori è a sua volta un successo: il voto infatti è arrivato al termine della campagna elettorale più violenta della storia moderna, con più di 30 candidati uccisi e centinaia di altri che hanno abbandonato la corsa, sotto il peso delle minacce dei narcos e dei gruppi criminali. Una situazione che i messicani hanno dato prova di voler cambiare: più di 100 milioni si sono registrati per votare e hanno atteso lo scorrere di lunghe file ai seggi elettorali sotto il caldo soffocante. La vittoria di Sheinbaum è una svolta importante per il Messico, anche dal punto di vista socio-culturale: il paese è noto per la sua cultura ‘machista’ e – con una media di 15 femminicidi al giorno – è considerato uno dei paesi più pericolosi al mondo per il genere femminile. L’impunità che spesso accompagna gli omicidi delle donne è stato uno dei cavalli di battaglia di Sheinbaum che sarà anche la prima persona di origine ebraica a guidare il Messico, sede della seconda popolazione cattolica più grande al mondo, che per anni ha promosso per le donne valori e ruoli ancorati alla tradizione conservatrice. “Non arrivo qui da sola, arriviamo tutte – ha detto Sheinbaum  –  Con le nostre eroine che ci hanno donato la nostra patria, con le nostri antenate, le nostre madri, le nostre figlie e le nostre nipoti”. 

Sulla strada di Amlo?

I quasi 35 milioni di voti ricevuti da Claudia Sheinbaum sono, senza dubbio, il frutto del successo della gestione dell’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador (detto Amlo) che lascia dopo sei anni, al termine del secondo mandato, con un indice di popolarità uguale o addirittura superiore rispetto al 2018. Sheinbaum lo sa, ed è per questo che, nel suo primo messaggio da presidente eletta, si è impegnata a proseguire sulla strada tracciata del suo predecessore, che dopo decenni di corruzione ha introdotto la politica della Quarta Trasformazione: sostegni agli anziani e alle madri single, rafforzamento dello stato sociale per alleviare le disuguaglianze tra la popolazione, progetti infrastrutturali in regioni storicamente povere. Il nocciolo della sua politica per il Messico, concentrato nello slogan “prima i poveri”, non ha forse modernizzato il sistema produttivo e ha aumentato il deficit, ma ha il pregio di aver razionalizzato le risorse pubbliche, ridotto gli eccessi della burocrazia e migliorato le condizioni di vita dei lavoratori agricoli e delle popolazioni indigene. La povertà, nonostante la pandemia e la conseguente crisi economica, si è ridotta di quasi il 6%. E il peso messicano si è rafforzato. Ma è sul fronte della sicurezza che la sua presidenza lascia un’eredità in chiaroscuro: negli anni Amlo ha operato una vera e propria ‘militarizzazione’ della sicurezza portando l’esercito a ricoprire funzioni tradizionalmente intestate ai civili. A fronte di ciò, il controllo da parte dei cartelli di vaste porzioni del territorio messicano è ancora stabile e il loro sradicamento appare lontano.  

La sfida del confine?

Oltre alla sicurezza, tra le sfide che la nuova presidente dovrà affrontare ce ne sono alcune che coinvolgono direttamente gli Stati Uniti, ingombrante vicino con cui il paese condivide oltre 2mila chilometri di confine. Gli enormi flussi di migranti provenienti dal Messico e il traffico di droga in un momento in cui in alcune regioni degli Stati Uniti infuria l’epidemia di Fentanyl sono tra queste. L’immigrazione, in modo particolare, è diventata uno dei temi centrali della campagna elettorale in vista delle presidenziali di novembre e gli americani lo citano come una delle loro preoccupazioni più urgenti. Lo scenario è complicato dalla possibilità del ritorno alla presidenza di Donald Trump, che ha promesso  la “più grande operazione di deportazione” nella storia degli Stati Uniti, per riportare fuori dai confini nazionali i migranti privi di documenti e che mobiliterà forze speciali per combattere i cartelli del narcotraffico. Il Messico e altri paesi della regione probabilmente dovranno affrontare la pressione della Casa Bianca affinché facciano di più, chiunque vinca a novembre. In campagna elettorale Sheinbaum ha dichiarato che “non ci sarà più sottomissione in politica estera” e che il Messico non si lascerà più “umiliare” da Washington. “Diremo sempre che è meglio costruire ponti piuttosto che muri” ha detto, assicurando che riuscirà a frenare i flussi illegali attraverso la frontiera. È una promessa difficile, per mantenerla dovrà riuscire dove i suoi predecessori hanno fallito. 

Il commento 

Di Antonella Mori, Head Programma America Latina ISPI   

Un’elezione senza sorprese, ma comunque storica, perché la Sheinbaum sarà la prima presidente donna, che promette di occuparsi maggiormente di temi di genere, dal diritto all’aborto alla lotta alla violenza sulle donne. Un’elezione che ha messo in evidenza la debolezza dell’opposizione e la forza violenta della criminalità. La presidente eletta ha dichiarato che il suo paese continuerà a rispettare la libertà d’impresa e ad appoggiare gli investimenti privati onesti, anche stranieri. Il suo governo farà una politica fiscale austera, continuando comunque ad aiutare i più poveri. Ancora non si conoscono i risultati definitivi, ma si potrebbe creare una situazione di pericolosa incertezza  se la coalizione di governo avesse raggiunto la maggioranza dei due terzi degli eletti, necessaria per procedere con riforme costituzionali. Alcuni temono che vengano adottate riforme anti-democratiche. Questa possibilità sembra poco probabile, almeno nel prossimo biennio, che sarà il periodo di revisione dell’accordo USMCA con gli Stati Uniti d’America e il Canada. 



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