In questi giorni le strade italiane sono invase dall’onda rosa del Giro d’Italia, che attraverserà lo stivale fino al 26 maggio, quando si celebrerà il vincitore a Roma. L’edizione 2024 è speciale anche perché ricorre il centenario della partecipazione di Alfonsina Strada, prima e unica donna ad aver preso parte a un Giro d’Italia maschile. La sua storia è il manifesto di una vita anticonformista e libera, vissuta nel segno della parità di genere, in un’epoca in cui questi temi erano quanto di più lontano poteva esserci dal contesto sociale.

Alfonsa Rosa Maria Morini nasce il 16 marzo 1891 in un’umile famiglia a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, seconda di dieci figli. La sua è un’infanzia trascorsa nelle campagne emiliane coi genitori braccianti, tra povertà e il duro lavoro nei campi. Nel 1901 in casa della famiglia Morini arriva una bicicletta, portata dal padre e subito usata dalla bambina, che da allora non staccherà più i piedi dai pedali. Alfonsina cresce e continua a sfrecciare su quel mezzo, che più di ogni altro diventa specchio della sua voglia di indipendenza. Comincia a partecipare per soldi a gare locali contro i maschi e talvolta riesce anche a batterli, ma non tutti vedono di buon occhio questa sua inclinazione, neanche in famiglia: una donna che corre in bicicletta in quegli anni è scandalosa e non rispetta in alcun modo l’immagine della femminilità che doveva essere aggraziata, sobria, discreta. Lo sport non è ancora una cosa da donne, ma Alfonsina Morini non ha intenzione di rinunciarci e allora va via da casa e segue la sua passione.

A Torino nel 1907 ottiene il titolo di miglior ciclista italiana, poi va in Russia al Grand Prix di San Pietroburgo e viene premiata dallo zar Nicola II in persona. Nel 1911 stabilisce il record mondiale di velocità femminile e si trasferisce a Milano. A ventiquattro anni sposa Luigi Strada, da cui prende il cognome, ma questo matrimonio non cambierà il suo stile di vita: il marito appoggia le sue scelte, la aiuta, le compra la sua prima bicicletta tutta sua come regalo di nozze. Nel 1917 decide di correre al Giro di Lombardia e ci riesce perché il regolamento glielo permette: nessuno aveva mai pensato alla possibilità di una ciclista donna, per questo non esistono neanche argini alla sua iscrizione. Su cinquantaquattro partecipanti circa la metà si ritirano: non Alfonsina Strada, che chiude ultima, ma arriva al traguardo. La chiamano il diavolo in gonnella perché nessuna prima di lei si era spinta così in là e perché il suo coraggio mette quasi paura.

Intanto lavora come sarta, cerca di guadagnare qualcosa per la sua famiglia, che vive un momento di grande difficoltà quando il marito inizia a soffrire di problemi di salute mentale. La bicicletta, però, non la lascerà mai. Punta a fare un’altra conquista e così, nel 1924, fa richiesta per prendere parte al Giro d’Italia. È un’edizione particolare perché molte squadre importanti disertano la manifestazione per questioni economiche, gli organizzatori allora iniziano a pensare che avere una donna potrebbe essere un buon modo per attirare l’attenzione sull’evento. Così ad Alfonsina Strada, con il numero 72, viene concesso di partecipare a questa folle avventura. È un percorso molto duro, si corre dal 10 maggio all’1 giugno: dodici tappe per un totale di 3613 chilometri con partenza e arrivo a Milano. Alfonsina è l’attrazione della corsa e la sua presenza crea una fortissima curiosità: c’è chi la ammira e chi invece trova ridicola la sua scelta, ma tutti parlano di lei. Al termine delle tappe viene accolta in trionfo, è la Regina del Giro e tutti la omaggiano con regali, fiori, denaro. L’ottava tappa L’Aquila-Perugia è caratterizzata dal maltempo: Alfonsina Strada cade, rompe il manubrio della bici e lo sostituisce con un manico di scopa, alla fine arriva comunque al traguardo, ma fuori tempo massimo. Dovrebbe essere esclusa, ma è la protagonista indiscussa del Giro e, per questo, le viene permesso di andare avanti anche senza conteggiare i suoi tempi ai fini della classifica. Alla fine sarà tra i trenta corridori (su novanta partecipanti) che completeranno tutto il percorso. Un successo, considerando sia la competizione diretta con gli uomini, sia il fatto che le biciclette di allora erano ben diverse da quelle di oggi, molto più pesanti e difficili da gestire.

Quella sua scelta visionaria ha cambiato per sempre il corso dello sport femminile: con la sua caparbietà e la sua forza Alfonsina Strada ha fatto intravedere delle possibilità che allora sembravano irraggiungibili e ha dato prova che le donne erano in grado di competere in qualunque condizione. Negli anni seguenti avrebbe voluto iscriversi di nuovo al Giro, ma non le fu permesso. Partecipò comunque a tante altre gare in giro per l’Europa e ne vinse diverse, sempre contro uomini. Diventò amica dei più famosi corridori dell’epoca e, anche più avanti, decise comunque di dedicare tutto il suo tempo alle biciclette, aprendo un negozio con un’officina di riparazioni a Milano. Morì nel 1959, a 68 anni, in una delle ennesime giornate della sua vita vissute con e per il ciclismo: aveva assistito alla gara classica delle Tre Valli Varesine, poi, tornando a Milano, fu colta da un infarto mentre cercava di mettere in moto la sua Guzzi 500 rossa.

Anticonvenzionale e moderna fino alla fine, ha lasciato un segno profondo nelle generazioni successive ed è stata una pioniera e un modello di riferimento. Se oggi non esistono più barriere e non esistono più discipline esclusivamente per uomini lo dobbiamo sicuramente anche a lei.

Dal 1988 il Giro d’Italia ha aperto ufficialmente le porte alle donne: quest’anno la corsa femminile si svolgerà dal 7 al 14 luglio e la salita più alta del percorso, sul Monte Blockhaus, è dedicata proprio ad Alfonsina Strada.

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